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“Il Gusto della Cooperazione”: la ristorazione cooperativa piemontese nella testimonianza di Osteria Montebellina

“Il Gusto della Cooperazione”: la ristorazione cooperativa piemontese nella testimonianza di Osteria Montebellina
Testimonianze di Gusto della Cooperazione. L’Osteria Montebellina della cooperativa Progetto Emmaus, ad Alba, è una realtà capace di unire tradizione gastronomica e percorsi di integrazione lavorativa per persone fragili

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Tags: Progetto Emmaus,   Gusto della cooperazione

La presentazione della seconda edizione de Il Gusto della Cooperazione, svoltasi a Roma, restituisce l’immagine di un’Italia capace di fare della ristorazione un presidio sociale, culturale e comunitario. Ben 176 ristoranti cooperativi sono riuniti in una guida che attraversa tutte le regioni italiane e che mostra come il cibo possa diventare un linguaggio di inclusione, accoglienza e sviluppo. Una conferma importante arriva anche dal Piemonte, presente con realtà solide che hanno saputo trasformare le proprie attività in punti di riferimento per le comunità locali.

Il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini, ha sottolineato come «la scoperta dei tanti ristoranti in Italia, nati dal desiderio di valorizzare persone, luoghi, prodotti e ricette, restituisca la dimensione di quanto cooperare possa generare valore e creare opportunità di crescita e sviluppo».

La nuova edizione della guida promossa da Confcooperative e FondoSviluppo e realizzata dall'editore Pecora Nera contiene, come spiegato da Fabiola Di Loreto, direttore generale di Confcooperative, è «più ricca della prima, con conferme e novità che attraversano tutto il territorio nazionale con proposte di ristorazione cooperativa presenti in tutte le Regioni d'Italia: racconti, territori, tradizioni, esperienze di chi insieme al buon cibo ricerca benessere e accoglienza».

La presentazione de Il Gusto della Cooperazione è diventata così l’occasione per mostrare quanto la cooperazione sappia generare radici profonde nei territori, costruendo luoghi che tengono insieme qualità gastronomica, responsabilità sociale e visione di comunità. L’Osteria Montebellina della cooperativa Progetto Emmaus è uno degli esempi che raccontano con forza questo intreccio: una realtà capace di unire tradizione gastronomica e percorsi di integrazione lavorativa per persone fragili. È proprio a Roma che due esponenti della cooperativa hanno portato una testimonianza diretta del significato di questo lavoro, a partire dal racconto di chi in quell’osteria ha trovato la possibilità di costruire un futuro diverso.

Sara Limani, oggi cameriera all’Osteria Montebellina, ha condiviso una storia personale che non parla solo di formazione professionale, ma di rinascita: «Quando sono arrivata pensavo di aver trovato un semplice lavoro. In realtà, col tempo, ho capito che quell’osteria sarebbe diventata un luogo fondamentale per me: un punto fermo, un posto dove crescere e cambiare davvero».

Nel suo intervento ha descritto con lucidità cosa significhi per una giovane con un passato difficile ritrovare fiducia negli altri e in sé stessa: «All’Osteria non ero più la ragazza con un passato complicato: ero semplicemente Sara, una persona che voleva imparare un mestiere. Ogni abilità che acquisivo era una conferma che potevo farcela». Le sue parole restituiscono il senso profondo di un ristorante che è anche casa, laboratorio di competenze, luogo di relazioni sane: «Montebellina mi ha dato una routine, una sicurezza e soprattutto un senso di appartenenza. È stato un luogo di rinascita».

Accanto all’esperienza personale di Sara, il contributo professionale di chi coordina quotidianamente il lavoro dell’osteria sociale consente di cogliere la complessità di un progetto che richiede metodo, attenzione e visione. Roberto Intelisano, coordinatore dell’Osteria Montebellina per Progetto Emmaus, ha voluto soffermarsi sulle sfide che caratterizzano ogni inserimento lavorativo: «Ogni percorso va decifrato con cura. Potremmo limitarci a chiedere alle persone fragili di fare ciò che riescono, ma il nostro compito è diverso: cerchiamo, anche modificando i nostri processi, di individuare il modo in cui ognuno possa dare il meglio, anche in forme non convenzionali». La sua riflessione tocca anche uno dei pregiudizi più radicati legati alle realtà sociali: «C’è ancora chi pensa che in un’osteria sociale le spese per il personale siano basse perché ci lavorano i “ragazzi disabili”. In realtà le retribuzioni sono le stesse degli altri colleghi e spesso abbiamo bisogno di personale aggiuntivo per garantire un supporto adeguato. Eppure alcuni clienti continuano ad aspettarsi prezzi più bassi, come se il sociale dovesse costare poco. Invece dovrebbe essere una scelta consapevole».

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