Prendersi cura della comunità significa prendersi cura delle persone che la abitano, da tutti i punti di vista: psicologico, sociale, relazionale, ma anche sanitario. Si tratta di un aspetto particolarmente sentito dalle persone più anziane, che generalmente accusano malattie croniche che richiedono cure attente e costanti, ma non solo. Il Piemonte conta oggi quasi 2000 presidi socio-sanitari accreditati che si rivolgono a persone anziane non autosufficienti, a persone con disabilità, con dipendenze, ma anche a persone con problemi di salute mentale e minori. Sono oltre 700 i presidi dedicati agli anziani, capillarmente distribuiti sul territorio regionale; ad esempio in provincia di Cuneo si contano 180 strutture, di cui la maggioranza di piccole dimensioni e ubicata nelle aree periferiche e più interne: un servizio e una risorsa insostituibili per gli abitanti di quelle zone. La necessità di rilanciare una politica sanitaria e sociosanitaria di territorio si è fatta sentire in particolar modo dopo la pandemia, che ha messo in luce le fragilità e i limiti del sistema sanitario nazionale, soprattutto in alcuni territori, come le aree interne e le periferie urbane, che vivono una situazione di disagio a causa della difficile raggiungibilità dei poli sanitari centrali.
L’assistenza alla comunità
Oggi questo percorso, per rispondere puntualmente ed efficacemente a questo bisogno, può avvenire solo con un nuovo modello basato sul partenariato pubblico e privato sociale. È con questa visione che Confcooperative Piemonte, attraverso le due federazioni del welfare, Federsolidarietà e Sanità, sta lavorando con Regione Piemonte con l’obiettivo di saldare maggiormente il legame tra comunità e cura, tra relazioni e salute. Infatti, se occorre concentrarsi non solo sulla malattia, ma anche e soprattutto sulla cura della persona, è evidente la necessità di inserire la persona all’interno di una rete sociale e comunitaria.
Attualmente lo Stato, attraverso il fondo nazionale per la non autosufficienza, stanzia risorse alle Regioni che poi attraverso piani regionali assegnano agli enti gestori affinché eroghino prestazioni di assistenza diretta (con propri operatori) o indiretta (con l’elargizione di somme alle persone non autosufficienti). La sfida è aumentare la parte di assistenza diretta, ossia l’offerta di servizi a scapito della quota economica; il nuovo piano regionale apre alla collaborazione tra presidi ed enti gestori per portare i servizi domiciliari in modo sempre più prossimo ed efficace alla popolazione.
Per questo oggi Confcooperative Piemonte è al lavoro con Regione Piemonte per ampliare i modelli di presa in carico delle persone non autosufficienti, affinché presto i presidi sociosanitari pongano l’accento non solo sull’aspetto sanitario, comunque fondamentale, ma anche su quello sociale e comunitario. Modello, quello della presa in carico della persona nella sua interezza, da avviarsi per tutti i diversi bisogni dei cittadini e per tutte le fasce di età. È un vero cambio di paradigma.
La visione
La prospettiva concreta che guida questa sinergia è l’opportunità di rendere il presidio sociosanitario un centro servizi per la comunità, che risponda a esigenze molteplici, variegate e legate non soltanto all’aspetto sanitario: lì le persone potrebbero trovare non solo l’infermiere che misura la pressione, ma anche gruppi di cammino volti alla motilità e al mantenimento di una rete relazionale fondamentale per il benessere individuale e collettivo. In questo modo la comunità vedrebbe nel centro un luogo di amicizia, addirittura di famiglia, dove le persone si conoscono e riconoscono.
Si tratterebbe di mettere pienamente in funzione i canali di comunicazione tra esterno e interno: l’esterno, cioè la comunità, entrerebbe all’interno del presidio per prendersi cura delle persone non autosufficienti e portare relazione, mentre l’interno, cioè le professionalità del presidio, offrirebbero i servizi di assistenza domiciliare a tutto tondo, per portare competenza. Si creerebbe così un gioco di mutualità reciproca e di relazione a partire dal bisogno del territorio e delle persone.
Unicità dei luoghi
Da questo punto di vista è importante sottolineare l’unicità di ogni luogo: i bisogni e le peculiarità variano per ogni territorio, e questo esige che i presidi sociosanitari possano autodeterminare le proprie azioni, soprattutto nelle aree interne e più periferiche. Certamente questo non significa mancanza di norme e sregolatezza: le professionalità e le competenze sarebbero chiare e definite, ma avrebbero un po’ di margine per adattarsi alle richieste della comunità in cui operano.
Co-programmare e cooperare
La costruzione di una rete di sanità di territorio che sia capillare, comunitaria e pronta alle richieste del momento richiede un lavoro di co-programmazione tra pubblico e privato sociale: il sistema sanitario nazionale e il mondo sanitario e sociosanitario privato dovrebbero cooperare per garantire un servizio integrato adeguato a tutti i cittadini e le cittadine. Costruire luoghi di cura oggi richiede un grande sforzo di immaginazione: richiede di delineare una società, i processi organizzativi e la loro sostenibilità, in cui lo sguardo dei diversi operatori sanitari, sociosanitari e assistenziali sia davvero basato su un approccio integrato tra i diversi attori e incentrato sulla persona, sulle sue esigenze e sulle sue peculiarità, e in cui la rete di cura sia profondamente comunitaria e collettiva.